Si propone un breve viaggio tra alcuni giardini partenopei. Il tessuto urbano di Neapolis, costituito da cardi e decumani, aveva il verde nelle insule, nelle antiche case. Prima qui vi era lo “spazio agrario di Cuma… fertili campi trasformati poi negli orti, nei frutteti e nei giardini della città greco-romana, nell’hortus conclusus della città medievale, nei giardini della città rinascimentale e infine nelle esigue testimonianze degli attuali giardini-frutteto”
Voler cercare di comprendere l’ubicazione degli antichi giardini vuol dire guardare l’evoluzione della struttura domestica. La domus della città greco-romana era un quadrilatero, con ingresso sui cardini, senza finestre esterne, che affacciava sull’orto interno, come raccontano i ritrovamenti archeologici nei pressi della Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, del Policlinico Vecchio e di piazza San Domenico Maggiore.
Con la nascita del peristilio, l’hortus diventa viridarium, alle piante utilitaristiche è aggiunto il verde ornamentale. In questi spazi lontani dalla mondanità, si diffonde il giardino-frutteto pensile su terrazzamenti, come si presenta oggi il giardino di Palazzo Venezia su Spaccanapoli, con alberi da frutto, orti, vegetazione ornamentale, per l’obiettivo di conciliare tutte le esigenze all’interno delle mura domestiche.
Tra l’epoca angioina e vicereale, l’urbanizzazione portò alla riduzione del verde.
Le cartine di fine Ottocento raccontano la presenza di piccoli giardini, con agrumi, alberi da frutto, orti e piante ornamentali. Per alcuni studiosi, il termine giardino deriva da “paradiso”, luogo dei beati e simboleggia la purezza. Nel mondo greco, romano e medievale i giardini erano chiusi verso l’esterno da un muro, perciò detti nel medioevo “chiostri”. A forma di croce, con elementi naturali ed architettonici di valore simbolico: l’acqua, elemento primordiale, rappresentava la creazione del mondo, la sorgente e l’eternità della vita; la porta indicava un percorso iniziatico, da raggiungere dopo il superamento di molti ostacoli. La forma quadrata raffigurava i quattro angoli dell’universo, la Gerusalemme celeste, al centro l’albero della vita o un pozzo o una fontana (fonte di sapienza, simbolo di Cristo), spesso con quattro sentieri d’acqua, rievocazione dei quattro fiumi biblici. Lo spazio diviso geometricamente da aiuole e da vialetti erano coperti da pergole, all’interno erano coltivate a verdure, fiori messi a scacchiera.
Nella città medievale, in continuità alle case greco-romane, alle spalle c’erano gli orti in cui si coltivavano, in ordinati riquadri, erbe aromatiche, generi di prima necessità, a volte vigneti e frutteti. Inizialmente l’impostazione si rifaceva al Vangelo, al quale si aggiunse poi l’hortus conclusus del Cantico dei Cantici. L’hortus conclusus monastico era un giardino segreto, offriva ristoro e proteggeva dal male. A Napoli con uno di questi esempi è il Complesso Monumentale di Santa Chiara. È un giardino ricco di alberi, con alte mura e ingresso indipendente, caratteristiche tipiche fino al Rinascimento e al Barocco.
Nel Rinascimento inizia a diffondersi la concezione del giardino italiano, in armonia con la nuova visione del mondo, basata sul desiderio di equilibrio tra razionalità e fantasia. Il “giardino all’italiana” nasce a Firenze, è “aperto”: si apre fiducioso al mondo esterno, ha aiuole geometriche, vegetazione sempreverde, siepi potate in forme regolari, con architetture, statue e fontane.
Nel Seicento c’è un’evoluzione: i giardini vengono realizzati con l’intento di meravigliare. Dal 1734 a Napoli, con Carlo di Borbone inizia a cambiare la visione del paesaggio con un nuovo rapporto tra scena urbana e rurale. I giardini sono segni di prestigio e arricchimento, da qui la decisone di dare vita al Bosco di Capodimonte, che, con Reggia di Caserta e gli altri siti reali, diventeranno il segnale di una nuova strategia di sviluppo urbano: ampi boschi che ospitano una fauna variegata, per dare spazio alla caccia del sovrano e della corte. L’enorme fascino che la Reggia di Capodimonte esercitava era dovuto alla fusione della architettura con il panorama naturale. La presenza della corte richiamò i nobili a costruire ville a Capodimonte, dando avviò al processo di edificazione lungo la collina, a partire da via Foria.
Altro importante giardino della fine Settecento è la Villa Reale di Chiaia, parallela al lungomare di Napoli, nata come giardino per il “Real passeggio” dei nobili, aperta al pubblico solo nel 1860. Nell’Ottocento nasce anche l’Orto Botanico. Man mano i nobili si trasferiscono sulla collina di Posillipo, nei luoghi dipinti dai vedutisti. Nel Novecento viene inaugurato il Parco Virgiliano per il bimillenario della nascita del poeta.