Vico del Gargano, comune della provincia di Foggia, sorge in un punto strategico sulle colline del Gargano, a sei chilometri dal mare e circa dieci dalla Foresta Umbra.
La sua origine vaia fra storia e leggenda; secondo alcuni sarebbe l’antica Gargano fondata da Diomede, i primi insediamenti risalgono al periodo pre-romano (V-IV secolo a.C.), secondo la storia nel ‘970 fu insediata dai mercenari Slavi che scacciarono per conto dei Bizantini i Saraceni dal Gargano.
Nell’XI secolo i Normanni conquistano il Gargano e costruiscono a Vico una prima fortezza, un castello sorto nel XIV secolo, in seguito ampliato dall’imperatore Federico II di Svevia nel 1240. Di esso resta un torrione cilindrico ed alcuni locali con volte a crociera ogivale. Intorno si sviluppano a scacchiera le abitazioni del centro, circondate da una muraglia e delimitate da 22 torri circolari e quadrate. Il centro storico di Vico è forse l’unico, fra quelli del Gargano, a conservare inalterate le originarie strutture urbanistiche ed architettoniche nei suoi rioni Terra, Civita e Casale. La sua configurazione è l’espressione di una civiltà agricolo-rurale che ha caratterizzato quasi tutte le città del Gargano.
Proprio grazie a questa forte tradizione agricola legata alla produzione di arance, è nata una suggestiva leggenda intorno a questo prodotto.
Si racconta infatti che, mangiando le arance locali o bevendo il loro succo, si avranno grandi possibilità di coronare il proprio sogno d’amore. Non per caso Vico del Gargano, uno dei comuni de I Borghi più belli d’Italia è soprannominato Paese dell’amore. In onore alla leggenda, ogni anno, il 14 febbraio, giorno di San Valentino e Festa degli innamorati, Vico del Gargano si veste a festa con paramenti insoliti. La chiesa matrice, i vicoli e le piazzette del centro storico, a partire dal caratteristico Vicolo del Bacio e le case private sono addobbate con arance locali, In questo giorno, la statua del patrono San Valentino è portata in processione ricoperta di arance e zagare.
Gli agrumi garganici coltivati tra il mare e l’entroterra fra “giardini”, boschi e campi coltivati nell’area di Vico, Ischitella e Rodi, dopo alcuni anni di oblio stanno tornando alla ribalta, grazie all’interessamento dell’Ente Parco, la costituzione dell’Oasi agrumaria e di un consorzio di produttori che ne hanno portato al riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta).
Nell’800 questa coltivazione occupava oltre 800 ha con una produzione di circa 150.000 quintali annui. Nel ‘900 le regole di mercato hanno progressivamente marginalizzato questa produzione che caratterizza il paesaggio di queste aree garganiche.
Negli ultimi tempi questi agrumi sono tornati alla ribalta con il melangolo a frutto dolce, agrume antico (l’unico agrume conosciuto prima dell’arrivo in terra portoghese dell’arancio dolce) e poco noto, dal sapore agrodolce, pezzatura medio-piccola, colore rosso intenso e lucente, buccia sottilissima;
nell’area Parco è presente un albero che ha più di 300 anni di età ed una circonferenza di quasi due metri;
l’arancia bionda del Gargano, fiorisce ripetutamente quasi quanto un limone, ha una forma che ricorda una pera e resiste a variazioni climatiche, tanto che un tempo veniva trasportato fino in America; l’arancia Duretta del Gargano, una varietà esclusiva degli orti garganici, dalla polpa consistente e croccante che matura a dicembre ed è quasi del tutto priva di semi; il Femminiello, il più antico limone d’Italia, dalla polpa profumata.
I pregi di questi agrumi sono sia nella natura organolettica che nelle potenzialità economiche, in relazione al tempo di maturazione sull’albero. Gli agrumi maturano tutto l’anno: si inizia ad aprile/maggio con l’arancia bionda, la cui raccolta prosegue fino a settembre, giugno è il momento del femminello ed a Natale si raccoglie la duretta. Con gli agrumi si confezionano anche gustose marmellate e tipici canditi. Gli agrumi del Gargano sono presidio del gusto riconosciuto dall’associazione nazionale Slow Food.
Un altro must della gastronomia di Vico del Gargano è la paposcia ottenuta dall’impasto di pane che cotto al forno e farcito con rucola, pomodoro, ricotta fresca ed un pizzico di peperoncino diventa un’estasi di sapori. La paposcia è un pane-focaccia la cui storia narra che venisse già utilizzata nel XVI secolo come “termometro” per verificare se la temperatura del forno fosse giusta per la cottura del pane, alimento principale della civiltà contadina. Infatti, tolto l’impasto usato per le pagnotte di pane, la pasta che rimaneva attaccata alla madia (la cosiddetta fazzatura) veniva raccolta, impastata, allungata con le mani sino a 20-30 cm, infarinata e posta nel forno per pochi minuti prima delle pagnotte di pane poiché la tenuta della paposcia alla buona cottura indicava la buona riuscita del pane. Questa striscia di massa poi non veniva buttata, anzi una volta tagliata a metà era condita con un filo d’olio e formaggio fresco locale.