Un passato millenario ricco di arte, storia e leggende
Manfredoniai è rivelata per diverse epoche una tappa obbligata per cavalieri e pellegrini che sostavano come luogo di ristoro e venerazione prima di riprendere il loro viaggio verso Oriente o verso la Sacra Grotta dedicata all’Arcangelo Michele sul Monte Gargano. È il suggestivo sito della Basilica Santa Maria Maggiore, che svela ancora oggi orme del suo millenario passato e i segni dei suoi devoti che l’hanno visitata nel corso dei secoli.
Ci troviamo a Siponto, in agro di Manfredonia, città fondata da Diomede e un tempo colonia romana e importante sede vescovile nel Medioevo. Il tempio si trova a circa 2 Km. dal centro abitato, annesso in un parco archeologico ancora tutto da scoprire. Già all’ingresso si scorge la singolare struttura quadrangolare della chiesa, accanto alla quale è presente una curiosa opera d’arte contemporanea che ingloba un’area archeologica.
All’interno del parco archeologico troviamo i resti dell’insediamento romano, con alcune parti dell’anfiteatro, porzioni dell’antica cinta muraria e alcuni ipogei risalenti al III secolo d.C. con sepolture di epoca medievale.
Per valorizzare il parco archeologico, nel 2016 è stata realizzata un’opera d’arte contemporanea denominata “Dove l’arte ricostruisce il tempo”, creata da un giovane artista milanese, Edoardo Tresoldi. Con la tecnica del “ricamo su rete” ha ridato vita alla prima e più antica cattedrale paleocristiana ormai scomparsa.
La Basilica, risalente al V secolo d. C. sorge nel luogo in cui si insediava un edificio augusteo risalente al I Sec. a. C. Poi, dopo un secolo, il vescovo Lorenzo Maiorano, attuale Santo patrono di Manfredonia, la ampliò nella struttura e nelle navate, ripavimentando la chiesa con mosaici policromi e erigendo un solenne battistero davanti all’ingresso della chiesa.
Malgrado lo splendore della sua storia, la basilica oggi conserva solo le fondamenta ed alcune colonne, frammenti e mosaici alla base dell’antica abside. Nonostante ciò, possiamo ammirare le due icone di origine bizantina della Vergine oggetto della venerazione dei fedeli. La prima (quella di Maria S.S. di Siponto), risale all’VIII secolo. La seconda (la “Madonna dagli occhi sbarrati”), è una statua lignea policroma risalente al VI secolo. Entrambe le opere d’arte oggi conservate nella Cattedrale di Manfredonia.
Una leggenda narra che lo sguardo della Vergine Madre di Dio e degli uomini è legato ad un accadimento spiacevole che un vecchio popolano raccontò tempo fa allo storico locale Petrucci.
Una giovinetta subì una violenza sessuale da un parente del vescovo dell’epoca proprio dinanzi all’immagine della Madonna la quale “dal momento in cui fu consumata la nefandezza inaudita, si trasfigurò: i suoi occhi, già dolci e suadenti, furon visti diventare ogni giorno più grandi e finalmente restarono sbarrati come due finestre su una notte di procella”.
A tale leggenda si collegò anche la scomparsa di Siponto. La sfortunata ragazza cercò di togliersi la vita fra le onde, ma il mare, misericordioso, la salvò. Le sue lacrime di sconforto si raccolsero generando il lago Salso il quale, a sua volta, creò lo sviluppo delle paludi che decreteranno per la loro malsania la fine di Siponto. Tale racconto nefasto si riferisce al pensiero a Catella, figlia di Evangelio, diacono della chiesa sipontina, abusata dall’immorale nipote del vescovo Felice. L’episodio è reso noto dalle lettere che S. Gregorio Magno inviò alla fine del sec. VI al suddiacono Pietro, al notaio Pantaleone e allo stesso vescovo Felice affinché l’autore dell’abuso fosse punito e la sventurata Catella avesse giustizia.
Ma un altro nefasto avvenimento riguardò la statua con l’avvento dei turchi nel 1620.
L’opera d’arte venne trafugata dai pirati turchi che, a causa del mare grosso durante la traversata da Costantinopoli a Siponto, le comparvero delle macchie bianche sul mento del vomito prodotto dalla Vergine. La “Sipontina”, secondo Serafino Montorio nel suo Zodiaco di Maria, fu rapita durante il sacco dei Turchi e due dita della mano le furono recise. Ma, la Vergine, con materna premura “da sé stessa tornossene à quelle spiaggie; e perché fosse assai più chiaramente conosciuta la sua protezione, e perciò con più fervore venerata, non posossi nella propria Chiesa, ma trà giunchi delle vicine paludi”.
Visitando l’adiacente chiesa medioevale di Santa Maria Maggiore consacrata nel 1117, si scorge l’affascinante esempio di romanico pugliese con percepibili contaminazioni in stile armeno e islamico. L’edificio, composto da due “chiese” indipendenti di cui una interrata come una cripta, due absidi a vista poste sulle pareti sud e est, un ricco portale monumentale rivolto ad ovest verso la strada che entra in Manfredonia. Le decorazioni in essa presenti, pregne di significati religiosi, un tempo erano rivestite di pasta vitrea che rifletteva il sole, un elemento di forte suggestione, percepito da tutti i viaggiatori che tra ‘700 e ‘800 si avventurarono nella piana sipontina in cerca delle perdute tracce della “Ravenna del Sud”. Sulle sue mura sono impressi segni di mani, nomi, croci di varia origine e significato.