Dai dolci delle monache alla regina della pasticceria siciliana, la cassata.
“Ma tu lo sai cos’è l’inferno? E’ solo Palermo senza pasticcerie (…)”. Le parole tratte dal libro “La lunga vita di Marianna Ucria” di Dacia Maraini spiegano il rapporto indissolubile ed unico di Palermo con i suoi dolci. Le ricette di cannoli, cassate e altre delizie si diffusero in Sicilia grazie all’operosità delle monache di clausura.
Nel XVIII sec. lo scrittore e poeta Giovanni Meli nel suo libro “Li cosi duci di li Balati” racconta che a Palermo si contavano ben 21 monasteri di clausura, dove le monache erano bravissime nel manipolare ingredienti semplici, per ottenere dolci degni di un re.
Ciascun monastero si caratterizzava per un dolce tipico, la cui ricetta rimase per secoli un segreto che si tramandava oralmente.
Quali erano le chiese e i monasteri annessi, dove si producevano il dolci della pasticceria moniale? E quali questi tipi di dolci?
Iniziamo dal convento di Santa Caterina d’Alessandria, presso piazza Pretoria, famoso per il panino di Santa Caterina ed il bianco mangiare. Da non perdere, la chiesa con i decori a marmi mischi e tramischi tra gli esempi più belli del barocco palermitano. La Chiesa ed il convento sono visitabili ed all’interno della dolceria c’è la possibilità di degustare i dolci.
Non lontano da Santa Caterina, a piazza Bellini, vi era l’ex convento della chiesa Unesco, la Martorana dove venne inventato uni dei dolci più famosi in Sicilia: la frutta di Martorana.
La leggenda
Si narra che un re, forse Carlo V, volle visitare il giardino del convento della Martorana poiché era considerato il più bello di Sicilia. Ma essendo inverno era privo di frutti. Allora le monache della Martorana inventarono dei frutti realizzati con pasta di mandorle e li posero sugli alberi. Così fecero credere al sovrano di aver un bellissimo giardino.
Molti dei monasteri e delle chiese andarono distrutti durante i bombardamenti della seconda guerra. Come ad esempio l’ex monastero del Cancelliere, ubicato in via Celso, nello stesso luogo oggi sorge una scuola. Il convento era famoso per i dolci chiamati le “fedde del Cancelliere” realizzati con pasta di mandorla, farciti con crema e confettura di albicocche. Ma il termine fedde in siciliano si riferisce alle natiche, ecco che con malizia si giocava sull’ equivoco linguistico e sull’idea che le monache toccassero le fedde del Cancelliere con le mani.
Proseguendo lungo la via Celso, ecco l’ex convento delle Vergini, oggi trasformato in condominio, famoso per le “minne di vergine” e il “trionfo di gola”.
Le minne di Vergine erano dolci che ricordano per la forma i seni delle donne, molto simili alle catanesi mine di sant’ Agata. Il trionfo di gola, re delle tavole dei nobili siciliani, è una torta decorata con sopra frutta candita e realizzata in pasta reale con strati di crema e pandispagna . Il dolce è famoso perché citato nel romanzo del Gattopardo.
La tradizione della pasticceria moniale si concluse con la soppressione degli ordini religiosi tra la fine 1800 e i primo del 900. Ma non si estinse poiché passo’ nelle mani dei grandi pasticcieri palermitani. Come ad esempio, il cavaliere Gulì che reinvento’ la cassata siciliana.
Si racconta che la famiglia di pasticceri Gulì, produttori di frutta candita, nel 1873 in occasione dell’Esposizione Internazionale di Vienna, produssero questa nuova cassata decorata con la frutta candita. Le pasticcerie dei Gulì chiusero ma resta vivo il loro ricordo grazie al palazzo di famiglia, in Via Vittorio Emanule. Oggi, palazzo Gulì è la sede del Museo No Mafia, poiché i locali appartenenti al comune sono stati donati all’associazione “Peppino Impastato”.