Napoli è una città ricca di storia e storie, di colori, arte e profumi che ogni anno attirano tantissimi turisti, pronti a scoprire le bellezze e i misteri della città.
Uno dei quartieri più visitati è sicuramente il centro storico, patrimonio dell’Unesco dal 1995, con le sue tantissime chiese, sotterranei, vicoletti, musei e arte presepiale.
Ma forse non tutti sanno che il centro storico ha da raccontarci moltissimi misteri nascosti in ogni angolo.
Partendo da Piazza del Gesù, possiamo iniziare il nostro particolare viaggio tra storia e leggenda, tra bellezze ed intrighi. In questa piazza si erige la splendida chiesa del Gesù Nuovo, imponente costruzione con una facciata estremamente suggestiva, realizzata in bugnato a punta di diamante (piccole piramidi). Una facciata che poco si addice ad un edificio di culto. Infatti, prima di essere una chiesa dagli interni barocchi, era un palazzo nobiliare della famiglia Sanseverino, costruito alla fine del’400. Un secolo dopo alla famiglia furono confiscati i beni a seguito di una rivolta alla quale partecipò contro l’Inquisizione spagnola che il Viceré, Don Pedro da Toledo, voleva introdurre in città. L’edificio fu donato ai Gesuiti e trasformato in Chiesa, lasciando però intatta l’enigmatica facciata.
Osservando con attenzione le bellissime bugne si possono notare dei simboli, tanti e diversi tra loro. Per molto tempo ci si è interrogati sul significato nascosto di questi segni che, in passato, erano stati interpretati come funzionali al lavoro, ovvero avrebbero indicato la disposizione di ogni blocco rispetto agli altri o la suddivisione tra le diverse squadre che dovevano realizzarle e collocarle.
Alcuni, invece, avevano ipotizzato fossero simboli esoterici in grado di portare all’interno dell’edificio energie positive e tenere lontane quelle negative.
Anni fa è stata avanzata un’ulteriore ipotesi molto particolare: i simboli sarebbero lettere dell’alfabeto aramaico che coincidono con note musicali. L’intera facciata potrebbe essere quindi una gigantesca partitura musicale. La melodia prodotta è stata intitolata dagli studiosi, che si sono occupati della lettura di questo primo mistero tutto napoletano, “Enigma”.
Proseguendo la nostra passeggiata attraverso il Decumano minore, conosciuto come Spaccanapoli, si arriva a Piazza San Domenico Maggiore, dove si trova l’imponente omonima chiesa in forme gotiche. La piazza è circondata da palazzi nobiliari, ma uno dei più noti è sicuramente il Palazzo di Sangro, dimora di Raimondo di Sangro VII principe di Sansevero, colui che si occupò della risistemazione della celebre, quanto ambigua, Cappella Sansevero. Al suo interno è custodita una delle opere scultoree più famose al Mondo: il Cristo Velato, realizzato dall’artista napoletano Giuseppe Sammartino nel 1753. Ed è proprio la perfezione del velo che copre il corpo di Cristo a far accrescere le leggende intorno alla figura di Raimondo Di Sangro. La realizzazione del sudario è talmente perfetta da mostrare ogni singolo dettaglio della muscolatura del corpo, dei capelli, addirittura delle ciglia del Cristo. Sappiamo che Raimondo fu un alchimista, un grandissimo studioso e fece parte della Massoneria napoletana, estremamente attiva in quegli anni. Ogni artista che lavorò per lui raggiunse la vetta più alta della sua carriera, come lo stesso Sammartino, reso immortale dalla sua scultura. La leggenda narra che il nostro Raimondo avesse trovato il modo di “marmificare” i tessuti. Ancora oggi i tantissimi visitatori osservano il Cristo velato con le bocche spalancate, increduli che l’opera sia stata realizzata da un unico grande blocco di marmo.
Lascandoci alle spalle Spaccanapoli, ci rechiamo in Via dei Tribunali quello che anticamente era il Decumano Maggiore. Qui, tra colonne di epoca romana, campanili medievali, acquedotti e mercati antichi, ci troviamo dinanzi ad una chiesa, molto più piccola delle precedenti, con, all’esterno, due colonne basse sormontate da teschi in bronzo. La chiesa, Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, è uno dei tanti edifici di culto che ha al suo interno un ipogeo dove sono custoditi i resti umani delle anime “pezzentelle”, ovvero le spoglie delle tante persone del popolo ammassate nelle fosse comuni. Questi due piccoli teschi ci ricordano il legame molto particolare che i napoletani hanno con la morte: un legame profondo, a volte ironico e, perché no, ricco di gesti scaramantici. Infatti, se osserviamo bene i teschi in bronzo, noteremo delle parti più lucide: questo perché i partenopei, passando di lì, per allontanare la sfortuna, accarezzano più volte la “capuzzella”.