La pittura parietale che si può ammirare in alcune dimore ed edifici degli Scavi di Pompei è una delle più grandi testimonianze della pittura antica ed una delle più stupefacenti attrazioni di questo sito archeologico. Soggetti mitologici, scene di chiara derivazione teatrale, giardini, belve esotiche, uccelli, ghirlande di fiori, nature morte, paesaggi e strutture architettoniche, in un gioco di effetti prospettici e trompe l’oeil, per far apparire gli ambienti, spesso senza finestre, più ampi, i giardini più estesi, i soffitti più alti, con colonne e strutture architettoniche slanciate verso l’alto.
Non vi era comunque il concetto del quadro da appendere, il quadro come inteso da noi era in uno spazio definito della parete stessa: una divinità, copie di opere famose, un ritratto o anche una veduta marina o di campagna, o lo scorcio di qualche luogo remoto, come paesaggi nilotici e scenette di pigmei, ma anche caricature e scene di vita quotidiana, manifesti elettorali, proclami e pubblicità.
Per la tecnica realizzativa di queste decorazioni parietali possiamo parlare di pittura a fresco e ad encausto.
Nel primo caso la tecnica consiste nello stendere sulla superfice da decorare vari strati di un intonaco, fatto di calce fresca, mescolata a volte con sabbia di fiume, acqua e polvere di marmo e decorato, appunto a fresco, con pigmenti di origine minerale, vegetale o animale.
Nel caso della tecnica ad encausto, vi è largo uso di cera naturale e cera punica. Con questo procedimento si voleva evitare l’alterazione delle tinte dovute alla reazione chimica della calce con l’aria. La cosiddetta cera punica, secondo Vitruvio si preparava scaldando e fondendo la cera naturale ed aggiungendo olio e resina. Questa si mescolava ai pigmenti oppure, a mo’ di vernice trasparente, alla fine della decorazione, per proteggere i colori e dare brillantezza (encausticazione).
Negli affreschi di Pompei, i colori dominanti sono senz’altro il rosso (Pompeiano), il giallo e talvolta l’azzurro.
Il rosso si ricavava dal cinabro di mercurio, proveniente dalla Penisola Iberica e dal Monte Amiata, il Vermiglione , sempre ricavato da cinabro, terra rossa di Pozzuoli o idrossidi di ferro come l’ematite.
Il giallo si otteneva dalla lavorazione di un’ocra gialla o di un’argilla simile ad una terra di Siena o anche minerali di origine vulcanica provenienti dalla zona di Pozzuoli.
Il Nero, dal carbone, unito alla calcite, minerale composto da carbonato di calce, come legante e dall’atramentum secondo Plinio, una sostanza ottenuta da legna resinosa ma anche, dalla calcinazione di ossa animali.
Il blu (egizio) secondo un procedimento descritto da Vitruvio, si otteneva riscaldando e fondendo un composto di rame ad altissime temperature , con sabbia e carbonato di calce o malachite.
A seconda dell’epoca e della tecnica pittorica, la pittura pompeiana è stata convenzionalmente suddivisa in 4 stili.