Qualche anno fa a Napoli, in una bella giornata autunnale, ero al lavoro con una famiglia di Singapore, composta da madre, padre e due figli.
Avevano richiesto un’intera giornata a disposizione, erano assetati di conoscenza, volevano vedere il più possibile. A volte le richieste sono vaghe, i viaggiatori si affidano alla guida completamente, altre volte, come in quell’occasione, arrivano con le idee chiarissime perché hanno fatto i compiti a casa e hanno una lista precisa. La signora aveva un fitto programma, che includeva la certosa di San Martino, il cui panorama sulla città li lasciò a bocca aperta, il museo archeologico di Napoli (a detta loro la più bella collezione di archeologia mai vista paragonata a quello che avevano visto a Roma o in Grecia), il centro storico (ndr.: quando a Napoli si parla di centro storico si intende tecnicamente un’area molto vasta, ma comunemente e turisticamente intendiamo quello “greco-romano”) e la zona monumentale.
Con quest’ultimo termine intendiamo l’area che include il Palazzo reale, il Castel Nuovo, il teatro San Carlo.
Piazza del Plebiscito
Ed ovviamente piazza del Plebiscito: arrivati nel punto di migliore osservazione, quello in cui con un’unica occhiata si abbraccia la vista complessiva della piazza, il Palazzo Reale, la chiesa di San Francesco di Paola, l’attuale Palazzo della Prefettura e il gemello di fronte, le statue equestri dei re Borbone, lo storico caffè Gambrinus in un angolo, e quello spicchio di blu del cielo che si unisce al mare affianco al Vesuvio, la famiglia si bloccò senza parole per qualche minuto. “Da quando l’ho vista in una fotografia, ho deciso che questo sarebbe stato il nostro prossimo viaggio. Io dovevo venire a Napoli per vedere questa piazza”. Così mi disse la signora con un’emozione sottile e fortissima che poche volte ho percepito così bene. Lei aveva adorato tutto quello che avevamo visto prima, ma era quel luogo in particolare che l’aveva affascinata in fotografie e video che aveva visto su Napoli. E non ci fu neppure un briciolo di delusione.
Cosa si può chiedere di più da una giornata di lavoro se non una felicità così piena e spontanea di chi ti ha scelto per raccontare la tua città?
Forse avrete capito che proverò a descrivervi una piazza. Non solo. Un simbolo, un luogo di aggregazione, un crocevia di storia, un punto di arrivo oppure di partenza. Siamo di fronte a 25.000 m2 che la rendono una delle piazze più grandi d’Italia.
Un tempo era più semplicemente il “largo di palazzo” su cui si affacciava il Palazzo Reale, costruito a partire dal 1600, che ancora vi insiste su uno dei lati lunghi. Era di dimensioni molto più ridotte in quanto ospitava i conventi di Santo Spirito e San Luigi. Già dalla metà del XVI i due complessi monastici si erano visti espropriare parte delle loro strutture per dare un primo slargo al palazzo vicereale che in quegli anni veniva edificato (edificio oggi non più esistente).
La vera trasformazione della piazza avvenne in epoca napoleonica, durante il regno di Gioacchino Murat, ospite della capitale e delle sue splendide residenze reali insieme alla moglie Carolina Bonaparte. Complice la soppressione di numerosi ordini monastici avvenuta durante il dominio francese, lo spazio fu liberato dalle fabbriche e si poté procedere ad una sistemazione più geometrica della piazza con la costruzione di un porticato e due edifici gemelli che avrebbero costituito scenografiche quinte laterali.
Il progetto del “Foro Gioacchino” non arrivò a conclusione per il ritorno di Ferdinando di Borbone, il quale invaghitosi tuttavia dell’idea, lo completò dando un significato religioso al porticato con la chiesa intitolata ad un santo molto amato dal sovrano, San Francesco di Paola.
Dalla metà del 1800 quindi la piazza ha l’aspetto che possiamo vedere oggi. Agli inizi degli anni ’90 fu oggetto di un importante progetto di riqualificazione il cui esito più rilevante fu la completa chiusura al traffico dello spazio. Ad oggi è un’importante risorsa per concerti, come spesso quello di Capodanno, oppure la più recente iniziativa di Piano city che raccoglie decine di pianoforti. Anche molte rock star straniere o cantanti italiani hanno regalato ai napoletani serate indimenticabili.