Una vena di antisemitismo cinquecentesco nascosta negli affreschi della Cattedrale di Santa Maria Assunta di Cremona.
“Os peccatoris et dolosi super me apertum est”.
La bocca del peccatore e del fraudolento è stata aperta contro di me.
“Vidisti Dominem iniquitatem illorum adversum me”.
Hai visto, Signore, la loro iniquità contro di me.
“Ego quasi agnus qui portatur ad victimam”.
Io, come un agnello che viene portato al sacrificio.
Sono frasi che possiamo leggere nella navata centrale della Cattedrale di Cremona, con il naso all’insù, guardando il ciclo d’affreschi con le Storie della Vergine e di Cristo che si dispiega lungo le sue pareti, sopra gli arconi. Presbiterio e controfacciata compresi.
Iscrizioni su cartigli srotolati da uomini possenti e severi che sbucano da alcuni tondi al di sotto degli episodi rappresentati. Personaggi definiti generalmente e impropriamente (ma questo ve lo racconto un’altra volta) Profeti, introdotti dal pittore friulano Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone negli anni tra il 1519 e il 1521, quando subentra al bresciano Girolamo Romani detto il Romanino per dipingere il percorso del Calvario di Cristo sopra gli ultimi tre arconi sul lato destro della navata, più la Crocifissione e la Deposizione in controfacciata.
Pordenone spezza la convenzione artistica in uso fino a quel momento che voleva i Profeti chiusi all’interno di tondi per sottolineare la loro distanza temporale e fisica rispetto a quanto accade nel Nuovo Testamento. I suoi Profeti escono dai tondi per entrare fisicamente in contatto con le scene. Comunicano l’identità assoluta tra la profezia, la storia affrescata al di sopra…e il tempo di chi guarda da sotto.
Le parole dei suoi Profeti sottolineano l’innocenza di Cristo, vittima sacrificale di una comunità di persone malvagie, empie ed inique. Puntano il dito contro i responsabili della sua morte, confusi nelle nebbie della mente, incapaci di riconoscere in Cristo il Figlio di Dio. Chi sono costoro? “Elementare, Watson”…gli Ebrei.
Quegli stessi Ebrei rappresentati dall’artista nel grande affresco di controfacciata, dove campeggia una potente e affollata Crocifissione.
Sulla destra, ai piedi del ladrone malvagio, al di là di quella frattura nel terreno che li separa dai ‘buoni’. Avvolti da turbanti dal sapor mediorientale. Uno di loro, in groppa ad un asino (antico simbolo dell’ “ottenebrata sinagoga”), porta un mantello giallo, da sempre legato a infamia, corruzione, tradimento e fin dal Medioevo ‘bollo cromatico’ portato dai membri della comunità ebraica. E sembra che stia…contando. Le motivazioni che sconfesserebbero l’identità tra Cristo e il Figlio di Dio o…i soldi degli interessi del prestito a usura?
Qui si apre una voragine. Perché questa vena antisemita sbandierata come divergenza religiosa in realtà sembra nascondere un fondamento ben più prosaico. Politico ed economico.
Un fondamento che ha i contorni di un conflitto pauroso scoppiato in quegli anni tra la cittadinanza, rappresentata da quella stessa oligarchia che dava i propri membri alla Fabbriceria per dirigere i lavori in Duomo, e la comunità ebraica, la quale per parte sua esercitando il prestito a usura deteneva il controllo della liquidità monetaria e godeva di privilegi fiscali.
Cosa è accaduto? Perché questa inimicizia? Ci sono altre tracce? Come gli Ebrei erano arrivati a Cremona? E…come finisce questa storia?
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