“Come potranno i posteri credere, quando le messi rispunteranno e questi deserti di nuovo rinverdiranno, che sotto i loro piedi sono sepolte città e popoli, e che i loro antenati sono scomparsi sotto un mare di fuoco?” (Publio Plinio Stazio, 94 d. C.)
Mi piace iniziare così il racconto stupefacente dei legni di Ercolano venuti alla luce a partire dagli anni ’70 del 1700, durante le campagne di scavo intraprese dai Borbone in quella che può definirsi, a ragione, la prima esplorazione archeologica nella storia dell’umanità.
Ercolano, splendida cittadina di origini greco-etrusche affacciata sul golfo di Napoli, nel I sec. A. C. vantava visitatori e cittadini illustri appartenenti all’aristocrazia romana, tra cui Lucio Calpurnio Pisone, proprietario di una delle più belle ville marittime del territorio, poco distante dal centro abitato. La villa è passata alla storia come Villa dei Papiri grazie ai circa 2000 rotoli carbonizzati, a tutt’oggi oggetto di studio, ritrovati nell’antica biblioteca. Essi erano in parte ancora racchiusi in uno stipo in legno incredibilmente ben conservato grazie alle modalità di seppellimento della cittadina durante l’eruzione del 79 d.C, quando il Vesuvio riversò su Ercolano e i suoi abitanti tonnellate di materiale piroclastico a una temperatura di circa 500°. Tutto il materiale organico subì le conseguenze delle alte temperature: corpi vaporizzati, legno carbonizzato furono inghiottiti per secoli nella massa fangosa che però, indurendosi all’istante, riuscì a contrastare il passaggio dell’ossigeno, evitando la combustione del legno e rendendo di fatto la città di Ercolano uno ‘scrigno romano’ ricco di reperti lignei di straordinaria bellezza, oggi finalmente esposti in mostra, fino al 31 dicembre 2023, nel Palazzo Reale di Portici.
“Materia” è la parola con cui i Romani definivano il legno da taglio, non ancora lavorato, da utilizzare per la creazione di arredi, oggetti e suppellettili: molti di essi sono stati miracolosamente ritrovati nelle dimore e botteghe di Ercolano dopo secoli di oblio. Visitando la mostra si rimane rapiti davanti ai dettagli di vita quotidiana di un tempo che fu: letti, sgabelli, panche, tabernacoli, tavolette cerate, persino una culla furono riportati alla luce durante gli scavi compiuti tra il 1927 e il 1961 dall’allora sovrintendente Amedeo Maiuri, che pensò bene di esporre già allora “in situ” i legni in modo da ricostruire idealmente gli arredi di una casa romana.
Quello che però non riuscì al Maiuri fu il ritrovamento dell’antica spiaggia di Ercolano, riscoperta solo nel 1982 dall’ archeologo Giuseppe Maggi, alla guida dei nuovi scavi dopo il terremoto del 1980. La spiaggia rivelò al mondo un “gozzo” di epoca romana, ritrovato capovolto e in parte danneggiato, ma ancora straordinariamente conservato ed oggi esposto nel padiglione della barca del sito archeologico, mentre i resti di una barca più piccola sono stati portati alla luce negli anni ’90 del secolo scorso durante i nuovi scavi intrapresi nel complesso termale dell’Insula Nord-Occidentale.
Ma è sempre nell’antica spiaggia di Ercolano che, nel 2009, furono rinvenuti i legni più stupefacenti: gli oltre 250 frammenti del controsoffitto del salone dei marmi nella Casa del Rilievo di Telefo, perfettamente conservati nei loro colori naturali grazie alla conservazione in ambiente umido, sono la più grande testimonianza delle competenze artigianali degli ebanisti romani giunta sinora fino a noi.
Mai abbandonare le ricerche: è questo il leit motiv di archeologi, scienziati e sponsor riguardo a Ercolano e ai suoi legni, in quanto consapevoli che sono una piccola parte della città è stata finora riportata alla luce: ci attenderanno altre meraviglie quindi perché, come disse Goethe: “Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità” (Goethe, Viaggio in Italia, 1816).
Bibliografia: Materia il legno che non bruciò ad Ercolano, Francesco Sirano e Stefania Siano, Artem edizioni, 2022