Il Senso della Morte a Napoli: Un Viaggio tra Storia e Tradizioni
“La morte, per i greci, è sempre la morte di qualcuno. Ognuno è la sua propria morte. La morte e il morto sono una sola cosa. Parimenti la vita e il vivo. E proprio questa personalizzazione sia della vita sia della morte permette che tra vivi e morti esistano rapporti, confronti, incontri…”. Nicola Gardini
Se volete capire una città come Napoli, dovete osservarla sotto diversi aspetti trasversali. Uno di questi è il senso della morte che unisce l’antico culto pagano delle sirene, il suolo vulcanico della città e il culto cristiano delle Anime del Purgatorio.
L’Aldilà e i Vulcani
Fin dall’antichità l’Aldilà era una realtà tangibile in queste terre a causa dei vulcani che vi si trovano, considerati una connessione con le profondità della terra, col mondo sotterraneo; gli effluvi di zolfo dei Campi Flegrei come la desolazione naturale del lago d’Averno, hanno da sempre colpito l’immaginario degli antichi portandoli a identificare in questi segni la vicinanza con un altro mondo, il labile confine tra il regno dei vivi e quello dei morti.
Il Culto delle Sirene e la Morte
Ormai tutti sanno che la città nel suo nucleo più antico viene chiamata Partenope, come quella sirena ammaliatrice che si tolse la vita al passaggio di un indifferente Ulisse che ne ignora il canto. Per i fondatori greci, il corpo di Partenope venne trasportato fino all’isolotto di Megaride, dove fu sepolto o, secondo altri, prese la forma del primo nucleo abitativo. Il culto delle sirene è ben più antico di Napoli ma non a caso prende subito piede in questa zona, dove i vulcani come già abbiamo detto, con i loro gas e il loro fuoco ardente ci ricordano un mondo sotterraneo foriero di morte. Le stesse sirene sono connesse al regno dei morti. Il canto delle sirene infatti, è un canto di morte, questi esseri mitologici accompagnavano le anime nell’Aldilà; anzi viste le numerose vicende di naufragi a cui sono legate, potremmo dire che attraessero irreparabilmente i vivi verso la dimensione dei morti.
Il Rapporto con la Morte nella Società Napoletana
Napoli, essendo stata fondata dai greci, conserva nel dna della sua gente un senso differente del rapporto con la morte. I nostri antenati greci non si concentravano sulla morte ma sui morti, come Omero ci narra di Ulisse, che seguendo le istruzioni di Circe si reca alle porte dell’Ade per parlare con il defunto indovino Tiresia, così a Napoli, anche nella società moderna e cristianizzata, i morti in quanto persone possono ancora dialogare con i vivi, esattamente come accadeva nei poemi omerici.
Il Culto delle Anime Pezzentelle
Queste percezioni permangono immutate nella Napoli cristiana, dove spesso i morti, soprattutto ignoti, vittime di carestie, guerre o epidemie del passato, venivano seppelliti come atto di carità nei sotterranei delle chiese, le così dette terre sante. Compiendo il passaggio dalla superficie ai sotterranei delle chiese, i vivi possono scendere a visitarle, entrando in una dimensione differente in cui con i morti si può dialogare.
Per secoli gli antichi hanno creduto che il teschio fosse la sede dello spirito; parlare a un teschio è come parlare allo spirito di un defunto. A Napoli si scende nel mondo sotterraneo per far visita ai defunti e si parla con loro in un rapporto di confidenza in cui si stringono accordi di aiuto reciproco fatti di preghiere. Le anime che si vanno a visitare sono dei perfetti sconosciuti, vissuti in un altro tempo, ma anche loro in quanto napoletani, fanno parte della collettività e tutte queste anime
venivano adottate dai fedeli nel culto delle anime pezzentelle, così chiamate perchè non avevano nessuno che pregasse per loro e si trovavano quindi ad essere petenti, cioè richiedenti, bisognose di preghiere. Molti napoletani, anche di generazioni sorprendentemente recenti, ricordano da bambini di aver fatto visita a queste anime insieme a delle devotissime nonne. Molte sono le anime che hanno destato una particolare devozione popolare, tra queste mi piace ricordare Donna Concetta, al Cimitero delle Fontanelle, nel Rione Sanità.
Il suo teschio è stranamente lucido, si fa notare rispetto a tutti gli altri teschi ingrigiti dalla polvere del tempo. Donna Concetta infatti suda, forse per il calore delle fiamme del Purgatorio, più volte è stata cambiata di collocazione ma lei continua a sudare.
Nella tradizione popolare le si può chiedere una grazia toccando il teschio; se la mano si bagna, la grazia sarà concessa, se il teschio invece non suda, vuol dire che l’anima sta soffrendo e non può concedere grazie. Si racconta che quando la capuzzella è particolarmente umida, la defunta stia concedendo delle grazie. Quindi riassumendo, in questa città il sotterraneo, la dimensione oscura, si conosce attraverso le sirene, le attività vulcaniche e la morte, per gli esseri umani. Napoli si compone dunque di luci e ombre. Bellissimi panorami baciati dal sole che tutti possono vedere e abissi oscuri conosciuti da pochi, in cui si sfiora l’Aldilà.