Ha ventidue anni Lucrezia quando arriva a Ferrara per andare in sposa ad Alfonso, l’erede designato di casa d’Este.
È preceduta dalla sua cattiva fama.
Il padre di Alfonso, il Duca Ercole, ha alzato continuamente la posta: vuole più dote, più denaro, più gioielli per questo matrimonio.
Sa che il padre di Lucrezia non dirà di no. Deve sistemarla quella figlia dalla reputazione scandalosa.
Perché Lucrezia si chiama Borgia di cognome, come suo padre: Papa Alessandro VI.
Dalla madre Vannozza Cattanei ha preso bellezza e raffinatezza.
Dal padre chissà? Se ne dicono tante, su di lui, su di lei, sui suoi fratelli… una soap operarinascimentale.
E gli uomini che le stanno accanto fanno sempre una brutta fine: se non perdono la vita perdono la faccia[1].
Magari non è colpa sua. Ma Ercole pensa che se il rischio è alto, alta deve essere la ricompensa.
E papà Borgia paga: 100.000 ducati d’oro in contanti, 200.000 in opere d’arte, gioielli, abiti, cavalli e benefici, dispense, esenzioni.
E quindi il matrimonio si farà.
Da Ferrara partono i fratelli di Alfonso[2] e altri cavalieri per scortare la sposa nel viaggio da Roma. Quando la incontrano restano abbagliati, più di tutti Ippolito che ha “gli occhi fuori dalla testa”.
Il viaggio è lungo e lento e l’impazienza di Alfonso cresce. Accorcia i tempi e si presenta, mascherato, al castello dei Bentivoglio a Ponte Poledrano dove Lucrezia è ospite dei signori di Bologna. La trova vicino al fuoco con i capelli sciolti e ancora umidi. E resta ammaliato.
Per l’ingresso ufficiale in città Lucrezia indossa un abito di raso morello e oro riccio con maniche foderate di ermellino, costato 20.000 scudi. Fa a tutti una buonissima impressione. Il cronista Bernardino Zambotti riporta che “tanto piacque a questo popolo che tutti ne hanno preso consolazione grandissima[3]. Lucrezia ricambia questo sentimento: a Ferrara si sente a casa.
Lei e Alfonso si tradiscono ma si rispettano e sono alleati, complici (per mandarsi messaggi inventano un cifrario tutto loro[4]). Quando Alfonso fa realizzare i suoi nuovi appartamenti– nella “Via Coperta” del Castello – vuole che siano comunicanti con quelli di Lucrezia.
Lucrezia è astuta e intelligente. Presto si occuperà di tanti aspetti della gestione del ducato, sostituendo spesso il marito Alfonso come reggente.
Ha anche fiuto per gli affari, investe in terreni da bonificare e persino in un allevamento di bufale (che paga di tasca propria impegnando un “bellissimo balasso senza foglia cum perla”[5]) ma vuole che i risultati possano essere utili al “bene comune”. Teme infatti di non essere accolta in Paradiso perché ricca e lo confida al confessore dei suoi ultimi anni, il savonaroliano Tommaso Caiano.
E forse anche per questo, vestita umilmente di nero o di grigio, bussa alle porte dei sudditi per ascoltare le loro difficoltà e le loro richieste.
Non ha ancora compiuto quarant’anni Lucrezia quando muore, pochi giorni dopo aver dato alla luce la figlia Isabella Maria.
Alfonso soffre davvero: “non è senza spargere lacrime che scrivo queste parole, tanto mi sembra crudele esser privato di una compagna tanto cara e dolce”.
Nonostante la morte le malelingue non si placano. Sono in tanti a chiamarla corrotta, incestuosa, avvelenatrice, sanguinaria: una demonizzazione che attraversa i secoli.
Ma chiedete a Ferrara chi era Lucrezia! Sentirete tutta un’altra storia, quella vera.
Bibliografia:
Lucrezia Borgia – Maria Bellonci, Arnoldo Mondadori Editore, 1939 (+ ristampe)
Isabella e Lucrezia, le due cognate – Alessandra Necci, Marsilio Editori, 2017
Estensi – Riccardo Rimondi, Ed. Ferrara Souvenir, 2016
https://exhibits.ficlit.unibo.it/s/lucretia-borgia/page/introduzione-alla-mostra
[1] Il primo marito, Giovanni Sforza, fu costretto a giurare di non aver consumato il matrimonio, durato quattro anni. Il secondo marito, Alfonso d’Aragona, morì assassinato. E del giovane amante Pedro Calderón Johannes Burckardt scrisse che era «caduto nel Tevere non certo di sua iniziativa».
[2] Ferrante, Ippolito e Sigismondo
[3] Diario Ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504
[4] Una sorta di “lessico famigliare” composto da 27 frasi apparentemente banali (custodito a Modena con l’archivio segreto e i cifrari degli Estensi).
[5] Inventario delle Gioie (1516-1519), carta 42r