Affascinato dalla posizione e dalla rigogliosa vegetazione, Carlo di Borbone appassionato di caccia, scelse Capodimonte come luogo ideale per costruirvi il Palazzo Reale e il Real Bosco. Venne posta la prima pietra il 10 settembre 1738. La reggia di Capodimonte fin dall’inizio venne concepita non solo come residenza, ma come museo per accogliere la Collezione Farnese, che Carlo ereditò dalla madre Elisabetta Farnese. Reggia e Bosco, in origine separati, vennero uniti nel decennio francese, con la costruzione di un muro di cinta.
Il muro attorno al Bosco ha isolato i due borghi di Borgo di Porta Piccola e di Borgo di Porta Grande, mentre in origine vi era un’unica strada che li collegava. Allora si poteva parlare di Borgo di Capodimonte. I due attuali borghi, in particolare Porta Grande, si svilupparono ad opera dei nobili che desideravano alloggiare vicino alla corte reale, nelle ville disseminate sul territorio, che oggi conservano splendidi cortili.
La reggia di Capodimonte fu la prima grande opera voluta da Carlo di Borbone.
In vedute degli inizi del 1700 la collina di Capodimonte non era stata ancora stata investita dallo sviluppo edilizio e sorgevano solo casini sparsi nel verde. Il sito era incontaminato a differenza della valle sottostante. Nel 1735 cominciarono i primi rilievi della zona e trattative con residenti per l’acquisto di terre e masserie. Nel 1738 iniziarono i lavori affidati all’architetto Medrano, nel 1742 fu dato a Sanfelice l’incarico della sistemazione del bosco. Furono molte le difficoltà durante i lavori, per le impervie vie di accesso sia nella fase di costruzione sia per risiedervi.
Dalle origini il palazzo reale ebbe funzioni museali. Le sale per la Collezione Farnese furono pronte nel 1758 e nel 1759 furono ultimati gli ambienti residenziali. Il parco e la reggia sono una delle testimonianze più felici della fusione tra natura e architettura. Il progetto del parco costituisce una sintesi tra modello di giardino della cultura dei lumi d’estrazione francese e quello inglese: le forme esprimono raziocinio nella raggiera dei cinque viali a ventaglio di Porta di mezzo e proseguendo gli alberi di alto fusto lasciano spazio ad una natura spontanea e selvaggia. L’ideale scenografico risponde all’ideale prospettico dell’imponente reggia: ampie facciate scandite dal ritmo delle lesene di piperno sul rosso delle pareti. La pianta è rettangolare articolata in cortili collegati da porticati. Percorrendo i giardini storici, denominati dello “Spianato”, merita un affaccio al Belvedere, da poco restituito ai cittadini, che offre un panorama sulla città, dal Vomero a Capri.
Uscendo da Porta Grande, porta principale nell’ 800 d’ingresso per i sovrani e d’ingresso per la città dal centro storico prima della costruzione di Corso Napoleone, vi è il Borgo di Sant’Antonio o di Porta Grande. Qui la salubrità della aria spinse molti medici a porvi le proprie residenze, raccontate dai diversi toponimi. Sulle cosiddette “case cotugnae”, ville o masserie in origine di proprietà della famiglia del medico Cotugno fu costruita Torre Palasciano, esempio unico in città, visibile da quasi tutta Napoli e dalla tangenziale. Oggi un BB. Svetta l’eclettica torre di fine ‘800, che ricorda il Palazzo della Signoria di Firenze, realizzata dall’architetto Antonio Cipolla, su indicazione di Ferdinando Palasciano, illustre medico, precursore della Croce Rossa.
Palasciano e la torre nascondono misteri e storie d’amore, la leggenda più famosa narra che l’amore tra il medico e la moglie d’origini russe Olga de Wavilow duri ancora. Si racconta che i due fantasmi continuino ad amarsi sul “pensatoio” tra i merli della torre, legati dalla torre al Cimitero di Poggioreale, dove è stato sepolto e ricordato con un monumento, che vede raffigurato il Palasciano seduto in poltrona in cima alla sua torre.
Tra le innumerevoli imprese, Ferdinando Palasciano rischiò la vita e la carriera per difendere principi etici, come il “Principio neutralità dei combattenti feriti”, base della Croce Rossa. Studiò medicina, lettere, veterinaria. Fu un eclettico, come la Torre dove abitò a Napoli dal 1868 fino alla morte, sopraggiunta nel 1891. Originario di Capua, classe 1815, laureato nel 1840 in Medicina, si arruolò come alfiere medico nell’esercito. Nel 1848 a Messina, durante le rivolte contro Ferdinando II, curò i feriti di tutti gli schieramenti, disubbidendo all’ordine del Generale Filangieri di soccorrere solo i propri soldati. Palasciano così preferì la missione di medico al dovere di soldato, scelta che gli valse il soprannome di “uomo dei due giuramenti” per il giuramento al Re e il <Giuramento d’Ippocrate>. Con l’accusa di insubordinazione fu condannato a morte. Grazie alla clemenza del Re, scontò un anno di carcere a Reggio Calabria, poi fu confinato a Capua.
Il 28 aprile 1861 Palasciano espose il “Principio di neutralità dei combattenti feriti”. Con l’Unità d’Italia, poteva esprimere in libertà ciò che aveva dovuto tacere a lungo. «Bisognerebbe che le potenze belligeranti, nella dichiarazione di guerra, riconoscessero reciprocamente il principio di neutralità dei combattenti feriti….». Il manoscritto del discorso, con eco internazionale, valicò le Alpi. Lo svizzero Dunant fece suo il documento e lo portò alla Convenzione di Ginevra, per la fondazione della Croce Rossa.
Il Palasciano non ebbe riconoscimenti, ciò nonostante continuò a sostenere il diritto alla cura di tutti. Nel 1862 quando Garibaldi fu ferito sull’Aspromonte, Palasciano già prima di recarsi lì, nel sentire i dolori che Garibaldi pativa al piede, diagnosticò per primo la presenza del proiettile nella ferita, mentre altri erano discordi. Solo con l’estrazione del proiettile, Garibaldi guarì. Ciò valse a Palasciano la diffusione della sua fama e l’amicizia con Garibarldi, documentata da lettere conservate al Museo Nazionale di San Martino.