Personalità artistica di riferimento sulla scena della pittura toscana che, già a partire dalla prima metà del XIII secolo, aveva volto al rinnovamento.
Fu Coppo di Marcovaldo, attivo tra il 1250 e il 1276, epoca precedente alla generazione di Cimabue.
Nella basilica fiorentina di Santa Croce, si conserva una delle sue opere più significative che raffigura San Francesco con venti riquadri laterali dove sono rappresentate storie della vita del santo. Si tratta di una pala d’altare che propone una schematica e severa effigie centrale, attorniata da una serie di pannelli, introduzione di quell’arte narrativa che Giotto avrebbe continuato sessanta anni dopo, proprio sulle pareti della stessa Cappella Bardi che ospita la tavola di Coppo.
 
Quella dei Bardi fu una delle più autorevoli e facoltose famiglie di banchieri e mercanti che giunse, intorno al X secolo, a Firenze dove fondarono e svilupparono una florida impresa finanziaria; una parte della loro ricchezza fu impiegata in costose committenze come testimonia la decorazione della loro cappella, ubicata alla destra di quella Maggiore nella famosa chiesa francescana del capoluogo toscano.
La pennellata di Coppo è morbida, quasi senza sfumature, mentre il linearismo è esasperato, teso; le scene si caratterizzano per l’assenza di effetti spaziali e la presenza di architetture arcaiche, inserite in composizioni diagrammatiche.
Sono nuove, invece, la caratterizzazione drammatica dei tratti somatici dei personaggi che riempiono gli spazi, dalla accentuata cromia terrea e la loro forza espressiva. Infatti, anche se il santo assisiate è dipinto su un fondo oro piatto, la sua immagine proietta un naturalismo che va oltre il modello bizantino su cui si basava la pittura in quegli anni, riconoscibile negli occhi sfalsati, nella fronte corrugata e in un accenno di tridimensionalità nel punto dove le dita dei piedi spingono in avanti verso il bordo a forma di nastro.
Coppo persegue l’intento di dare un innovativo senso volumetrico all’arte pittorica che, talvolta, risalta nei panneggi, spezzati e spigolosi dal forte impatto visivo.
Richiamano l’attenzione anche alcuni dettagli, come le stigmate o i fori dei chiodi nei piedi e nelle mani di San Francesco.
Lo straordinario inasprimento del meticoloso linguaggio dell’artista fiorentino si evidenzia in modo singolare della visionaria descrizione dell’Inferno, nel Giudizio Universale, realizzata per il Battistero di Firenze. L’edificio romanico, dedicato a san Giovanni Battista, è infatti decorato da un capolavoro musivo, dal complesso programma iconografico, databile intorno agli anni Settanta del Duecento, eseguito da varie maestranze, tra cui spicca la mano di Coppo. Il grottesco e il terrificante sono i caratteri dominanti la figurazione, dove tra i dannati troviamo non solo include Giuda traditore ancora penzolante dall’albero dove si è impiccato dopo aver tradito Gesù, ma anche chierici e potenti, oltre ad un monaco vestito di nero. La sezione, alla sinistra di Cristo, è dominata dall’inquietante e insaziabile Lucifero, attore principale del drammatico resoconto finale, dove i cattivi sono sottoposti a strazianti pene, in un contesto visivo dalla disarmante modernità.