Dista 10 minuti dal centro della città eppure per arrivarci bisogna inerpicarsi sulla collina e addentrarsi nel bosco.
Vicino eppure lontanissimo. Testimone poetico e silenzioso del tempo che fu.
È il cimitero israelitico di Pesaro.
Un’indicazione un po’ sibillina vi porta sul sentiero, dopo qualche metro, un bivio: scegliete il sentiero più sterrato, qualche centinaio di metri nel bosco e poi vedrete il muro di cinta e il cancello. Oggi si entra dalla parte più bassa del sito, dove si trovano le tombe più recenti ma quando il cimitero venne aperto alla fine de XVII secolo ci si avventurava per la sepoltura sulla parte più alta della collina dove ancora si conservano le lapidi più antiche .
Attraverso il bosco, grazie ad alcuni gradini in legno, si puó scalare il cimitero, con le nude lapidi rivolte verso il mare. Se ne conservano circa 140, per lo più cippi, colonne spezzate e semplici stele di pietra e marmo.
Molte di queste sono state ripulite e il cimitero è stato oggetto di studio e opere di conservazione dal 2002 grazie ai fondi donati dalla Scavolini.
Se le lapidi più antiche conservano scritte solo in ebraico, quelle ottocentesche sono bilingui con lunghi epitaffi che ci parlano dei membri della comunità pesarese.
Da notare che fino al 1846 rimase qui in vigore il divieto di commemorare gli ebrei sepolti nel territorio dello stato pontificio, come deciso da Urbano VIII nel 1652, fatta eccezione per rabbini e personaggi illustri.
Dopo l’emancipazione, anche qui le tombe si fanno più monumentali e classiccheggianti, come quelle di David Foligno e Lazzaro Recanati, il benefattore che volle costruire un muro di cinta intorno all’area.
Monumento tra i più maestosi quelli della famiglia Viterbo, industriali pesaresi, che ha visto l’ultima sepoltura nel 1985.
Da allora il cimitero non è più usato ma non per questo dimenticato. Oggi se ne occupa la comunità ebraica di Ancona. È aperto ogni giovedì dalle 17 alle 19 e, per chi vuole, una guida vi porta alla scoperta delle storie di coloro che qui sono sepolti ogni giovedì alle 18.
La poesia di questo luogo, dove le tombe dirute si curvano nel bosco, dove tutto sembra che stia per scomparire per sempre e per sempre cristallizzato senza tempo, non può lasciare indifferente nessuno. La sua poesia data dalla fusione della natura, del bosco rigoglioso della collina che sembra riappropriarsi del terreno dissodato dall’uomo, dai raggi che filtrano tra rami e foglie e si posano in lame di luce sulle vite passate, dove il mare all’orizzonte sembra la fine del mondo terreno… una poesia. Di verità.