Da casa borghese a luogo di reclusione
La comunità ebraica, da cosa ci dicono i documenti, arrivò a Chieri tra il 1300 e il 1400. Nel 1430 venne firmato un editto che introdusse gli obblighi per gli ebrei: c’era il divieto di costruire Sinagoghe, proibiva la convivenza o il vivere vicino a cattolici, obbligava di avere un distintivo appuntato ai vestiti, vietava di uscire di casa durante la settimana santa.
Nel 1714 Vittorio Amedeo II accorda la possibilità agli ebrei ad acquistare immobili, ma poi viene annullata nel 1723, quando subentra l’obbligo per la comunità ebraica di risiedere confinati in un ghetto e viene proibito ai medici di religione ebraica di curare i malati di fede cattolica.
Fino ad allora gli ebrei a Chieri erano “liberi” di acquistare casa dove volevano, tanto che da questo momento in avanti c’era la necessità di trovare un luogo abbastanza grande e fuori dal centro cittadino per ospitare la comunità ebraica chierese. Si scelgono gli immobili del conte Bonaudo di Robassomero di proprietà delle famiglie Villa di Villastellone e dei Solaro, che sono disposti a concederli per istituire il ghetto, sito tra le odierne via Vittorio Emanuele II e via della Pace conosciuta come “su dij breu”, ovvero “la salita degli ebrei”.
Nonostante la reclusione, gli ebrei nel XVIII sec., svolgevano attività commerciali come la vendita di tessuti o quella delle granaglie, ma non si può non parlare della bravura delle donne ebree nell’arte del rammendo tanto da suscitare l’invidia della congregazione dei sarti.
Gli Ebrei riusciranno ad ottenere l’emancipazione in maniera graduale. Nel ’48 grazie alla proclamazione dello Statuto Albertino da parte di Carlo Alberto, ottennero il diritto al voto, l’accesso alle lauree universitarie, l’ammissione alla leva militare e vengono riconosciuti loro i pieni diritti politici e civili.
Purtroppo con il regime fascista e l’emanazione nel 1938 delle leggi razziali, vengono annientate molte comunità ebraiche, tanto che a Chieri, rimase solamente una famiglia.
Entrando nel ghetto da via della Pace si trova un piccolo vicolo che divide in due corpi la casa. Li è collocata la “torre del Rabbino”, nonché sua dimora nel ghetto. Questa casa venne presa a modello dall’archietto D’Andrade per la costruzione di una abitazione all’interno del Borgo Medievale di Torino nel 1884. Nel primo cortiletto è di notevole rilevanza la scaletta angolare a loggetta. Frontalmente alla scala era presente un portico, ora chiuso, sorretto da delle colonne particolari a ricordo del tempio di Re Salomone; li vi era collocata la Sinagoga e nella parte sottostante la sala dei pasti comuni successivamente convertita a falegnameria. Nel medesimo cortiletto era ubicato un pozzo molto importante per la comunità ebraica perché era l’unico modo di approvvigionarsi di acqua durante le ore del coprifuoco.
Il quartiere era composto da una serie di abitazioni collegate con un reticolo di corridoi, di ballatoi e di scale e cortili che si univano al cortile centrale il Chazer.
La Sinagoga collocata in locali non facilmente accessibili dalla strada così che non fosse riconoscibile dall’esterno. Possedeva splendidi soffitti affrescati e le lunette sovrastanti le finestre erano riccamente decorate. Il luogo di culto venne ricavato al primo piano per rispettare la regola religiosa che vietava ai luoghi di culto di essere sovrastati dalle abitazioni pubbliche.
Nel 1935 la Sinagoga cessò la sua attività e nel 1942 fu smantellata e i suoi arredi furono portati nella nuova sinagoga di Torino.