Mappare le sedi conventuali e monastiche medioevali della città di Bergamo significa disporre degli appostamenti fortificati su di una scacchiera, che vede un progetto quasi da stratega militare teso a distribuire questi cenobi in veste di sentinelle a controllo di parti della città: a oriente gli Agostiniani, a settentrione i Francescani seguiti dai Teatini e dai Carmelitani, a occidente i Serviti, a meridione i Domenicani e le Benedettine, mentre ai piedi del centro storico e via via fino al cuore dei borghi storici si susseguono le Domenicane, le Clarisse, le Orsoline, gli Osservanti Riformati, i Somaschi, i Lateranensi, i Cappuccini e i Vallombrosani.
Tra tutte queste presenze spicca quella domenicana, per numero di complessi architettonici, con conventi maschili e monasteri femminili ad oggi tutti concentrati nella città bassa, sia in forma attiva, sia in fase di dismissione oppure divenuti contenitori storici in seguito alle soppressioni napoleoniche: Santa Maria Matris Domini in via Antonio Locatelli, San Bartolomeo in via Torquato Tasso, Santa Marta e Santa Lucia ed Agata tra via Roma e piazza Vittorio Veneto. Dei quattro siti menzionati, il primo verrà ceduto a breve forse ad un privato, a causa del numero troppo esiguo delle consacrate che non sono più in grado di ottemperare ai doveri quotidiani imposti dall’Ordine, ma secondo gli accordi stipulati nella compravendita all’acquirente spetterà il mantenimento e la valorizzazione del sito e del suo museo, mentre la chiesa verrà annessa alla vicina Parrocchia.
Il monastero di Matris Domini si trova in via Antonio Locatelli, in una rientranza della parte terminale della strada e al di sotto di viale Vittorio Emanuele II ai piedi di Bergamo Alta. La data della sua ufficializzazione risale al 25 marzo 1273, quando venne consacrata la piccola chiesa, le cui forme romanico gotiche si mantennero fino al restyling del secondo e terzo decennio del Seicento. Sin dall’inizio le monache vestirono l’abito bianco e il velo nero delle domenicane e seguirono la regola e le costituzioni dell’Ordine dei Predicatori, di cui fondatore fu lo spagnolo san Domenico di Guzman. All’inizio del Trecento la chiesa venne ampliata e interamente affrescata fino al tetto, poiché si incominciarono ad utilizzare le immagini per agevolare la predicazione, e inoltre nell’area absidale fu dotata di una vetrata tonda con all’interno dischi in vetro policromo piombato, disposti in sequenza circolare, che raffigurano Maria Santissima, san Domenico, san Pietro Martire, due angeli.
Tutto si perse alla vista dei fedeli con la ristrutturazione dell’edificio sacro, ordinata durante la visita pastorale di Carlo Borromeo nel 1575, che fece occultare gli affreschi da innumerevoli stucchi e ornamentazioni dorate in cui sono stati inserti nuovi affreschi e pale d’altare, per conferire l’assetto di una chiesa a navata unica con volta a botte e tre altari per lato: secondo i dettami del Concilio di Trento serviva dare grande importanza ai sacramenti dell’Eucarestia e della Penitenza più che alle immagini, spesso fuorvianti, disordinate e fuori luogo. Nello stesso periodo fu necessario ampliare anche il monastero, così da poter ospitare un numero crescente di monache, essendo il cenobio il primo in città di tale Ordine e per cui di notevole pregio agli occhi delle più importanti famiglie nobili locali oltre che ubicato a ridosso delle mura veneziane.
Con la dominazione francese sopravvenuta alla fine del Settecento si assistette alla sua sconsacrazione e tutti i beni furono incamerati dalla Repubblica Cisalpina: “Le monache poterono rimanere nel convento anche se furono costrette a vestire abiti borghesi e a celebrare le funzioni liturgiche in forma privata, ma vennero poi sfrattate con l’avvento del governo austriaco, che adibì il sito a caserma. Le suore trovarono alloggio presso alcune famiglie del vicinato, in modo da non perdere di vista il monastero e cogliere quanto prima l’occasione di riprendere la normale vita religiosa”. Dopo 30 anni le monache ottennero dall’imperatore austriaco la proprietà del monastero “e l’autorizzazione a riaprire i battenti, a patto di ospitare una scuola per ragazze”: dato che una scuola similare era già stata istituita in una casa privata nei pressi, titolare e alcune docenti presero i voti e trasferirono l’istituto educativo nei locali del monastero. “La scuola continuò per 40 anni e poi fu chiusa, poiché non più necessaria per mantenere aperto il monastero e perché era desiderio delle monache riprendere una vita interamente contemplativa”.
A fianco della chiesa, escluso dalla clausura, è possibile visitare e transitare per il primo chiostrino a pianta quadrata che immette nella foresteria, nella casa del cappellano e nei vecchi locali della lavanderia, stireria e del refettorio medioevale: gli ultimi due sono stati sapientemente allestiti per ospitare il Museo di Matris Domini che ha dell’incredibile. Il primo vano, posto ad un metro circa di profondità dall’attuale calpestio, riproduce in un rendering la copertura a spiovente della chiesa originaria ed espone le tavelle in cotto policromo superstiti, ancora ben disposte tra le travi di recupero. Il secondo vano, diviso in due ambienti dalle stesse dimensioni, vede alle pareti diversi affreschi strappati appartenenti a due cicli pittorici, dedicati a Cristo e ai santi martiri, datati tra XIV e XV secolo, provenienti dalla zona absidale dell’antica chiesa gotica e sopravvissuti al rifacimento in stile barocco. Nello stesso locale sono esposte anche le cinque vetrate policrome su supporto piombato del Trecento, quello originali, sostituite in loco nel Novecento da copie identiche. L’ambiente attiguo ospita invece affreschi risalenti al XIII e XIV secolo e parte di un Giudizio Universale tra i pochi rinvenuti in terra bergamasca: le pareti corrispondono al “Refettorio vecchio”, poi divenuto stireria e lavanderia e ora museo.