Il Santuario di Sant’Antonio a Posillipo, la perla delle “13 discese”
A chi osserva la collina di Posillipo dal lungomare non sarà sfuggita una costruzione bianca, incastonata come una gemma tra le molte abitazioni che hanno da tempo ricoperto interamente il promontorio un tempo verdissimo. Si tratta del Santuario di Sant’Antonio a Posillipo, oggi meta di coppie in vena di romanticismo, desiderose di affacciarsi dallo splendido piazzale e godere di un panorama a dir poco unico o di vocianti famigliole che nelle sere d’estate vanno a prendere il fresco ai piedi del Santuario; e naturalmente non mancano i pellegrini che giungono a frotte soprattutto il 13 giugno, giorno in cui si fa memoria del Santo, ed i promessi sposi che sono pronti a prenotare la data del loro matrimonio anche con due anni di anticipo, visto il fitto calendario della Parrocchia. Insomma, un luogo attrattivo che vale la pena conoscere più a fondo.
La fondazione risale al lontano 1642 allorquando venne costruita una chiesetta con convento annesso affidata ai francescani conventuali che le conferirono nei primi anni la funzione di sanatorio. D’altronde il sito era allora completamente isolato dal resto della città e soprattutto era scarsamente urbanizzato; sulla collina si ergevano praticamente solo quattro villaggi rurali collegati alla zona sottostante di Mergellina con un’antica strada di fondazione greco-romana. Strada che, nel corso dei secoli, era stata ampliata e, pur mantenendo la sua peculiarità di via extraurbana, aveva collegato zona marittima e zona collinare della città come testimoniato dalle antiche piante topografiche in cui viene denominata “strada e discese di Posillipo”. Nel Seicento chi avesse voluto inerpicarsi su fino al conventino di Sant’Antonio avrebbe comunque dovuto percorrere una faticosa salita, fino a giungere appunto all’eremo. Infatti già nel 1643, appena un anno dopo la prima fondazione del convento, il Viceré duca di Medina de las Torres fece ampliare la strada; malati e fedeli aumentavano ed era necessario assicurare un tragitto più agevole.
Nacquero così le Rampe di Sant’Antonio a Posillipo che però nel dettato popolare sono sempre state le “Tredici discese”; e poco importa che allo stato dei fatti le discese siano in effetti quattordici…. Il 13 è il numero del Santo e non si discute!
Oggi la chiesa è raggiungibile dalle Rampe (che però con l’automobile si percorrono solo in discesa, quindi arrivando a piedi bisogna armarsi di pazienza ed essere buoni camminatori), oppure dall’angusta via Minucio Felice che porta al grande piazzale su cui si apre la semplice bianca facciata del Santuario il cui unico ornamento consiste in quattro grandi lesene ed un timpano in piperno.
Nel corso dei secoli la chiesa ha naturalmente subito molte trasformazioni. È diventata a navata unica con cappelle laterali, sormontata da una semplice volta a botte affrescata da Gaetano Bocchetti alla fine dell’Ottocento con Sant’Antonio nella gloria della Trinità tra angeli e Santi. All’osservatore attento però non sfuggirà che oltre ad alcuni santi francescani sono raffigurati anche parecchi santi domenicani, alcuni anche di un certo spessore; c’è San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Frati predicatori, c’è San Raimondo de Peñafort, Maestro generale dell’ordine domenicano e soprattutto c’è San Tommaso d’Aquino, Dottore della Chiesa, attivo a Napoli nel grande Convento domenicano di San Domenico Maggiore…
Un momento! Ma il piccolo eremo non era stato affidato ai frati francescani ed intitolato a Sant’Antonio, anch’egli notoriamente francescano?
Certamente, ma la storia ed il tempo sono capaci di cambiare anche i connotati di un convento e riconvertirne la funzione. Per due secoli infatti il piccolo eremo, affidato alle cure dei francescani, funzionò come sanatorio e fu nel frattempo abbellito ed arricchito dalla pietà dei fedeli; nel 1754 venne infatti costruito il campanile, ancora oggi svettante sulle costruzioni moderne nate dopo gli anni ’50, mentre nel 1775 fu ultimato il chiostro. Tuttavia in epoca napoleonica la soppressione degli ordini religiosi cadde come una scure sul conventino che venne affidato al demanio e destinato ad usi civili. Dopo il 1815 -precisamente nel 1824- Ferdinando II di Borbone, che era in ottimi rapporti con l’Ordine del Domenicani di San Domenico Maggiore, affidò l’edificio alle cure dei frati predicatori e da allora è rimasto nelle mani dei domenicani, che lo hanno sempre guidato con forza e con amore. E poiché tra Santi ci si intende, e non potrebbe essere altrimenti, ecco spiegato perché sull’altare di un convento domenicano troneggia ancora la statua di un santo francescano, esempio serafico di reciproco rispetto e perfetta integrazione.
La chiesa contiene al suo interno anche alcune preziose opere fra cui vanno ricordate la tela di Giacinto Diano raffigurante Tobiolo e l’Angelo, due pregevoli affreschi del Settecento raffiguranti San Ludovico e Santa Elisabetta e la pregevole tavola seicentesca raffigurante la Vergine della Purità che si è resa suo malgrado protagonista di un fatto di cronaca; fu trafugata infatti il 31 agosto del 2001 da un noto ricettatore e poi rintracciata e dissequestrata ad opera dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale nucleo di Firenze insieme ad opere trafugate in altre chiese in tempi diversi. Il 30 novembre 2017 la tavola è stata riconsegnata nelle mani del Parroco, Padre Antonio Giordano.
Usciti dalla chiesa, non senza aver visto il piccolo chiostro, bisognerà fermarsi sul piazzale; vi si gode un panorama stupendo, si domina tutto il golfo, con la collina del Vomero ed il Castel Sant’Elmo e, soprattutto, ci si affaccia sulle nostre “tredici discese” che poi sono 14.