Era il primo settembre 1485 quando il ricco banchiere Giovanni Tornabuoni, zio di Lorenzo il Magnifico, direttore del banco mediceo di Roma nonché depositario della camera apostolica, sigla con i pittori Davide e Domenico Ghirlandaio il contratto di allogagione di un ciclo di affreschi a decorazione della cappella maggiore della basilica di Santa Maria Novella a Firenze, di cui il Tornabuoni aveva ottenuto il patronato pochi anni prima.
Si tratta di una serie di dipinti murali fra i più spettacolari del Quattrocento fiorentino.
Il contratto è molto dettagliato, nella descrizione delle scene da dipingere, nell’uso del colore azzurro e nella profusione delle decorazioni dorate. Le immagini affrescate avrebbero dovuto narrare le storie della vita della Vergine Maria e di San Giovanni Battista, il santo patrono di Firenze ed eponimo del committente. Si distinguono le parti da dipingere con l’azzurrino e quelle con l’azzurro oltremarino – molto più costoso perché a base di lapislazzulo – e si precisano le parti da ornare con l’oro fine.
Si puntualizza altresì che i pittori avrebbero sottoposto al committente i disegni preparatori di ogni singola scena prima di mettere mano all’affresco affinché il committente potesse richiedere qualsiasi modifica (additionibus) a suo piacimento.
Perfino le incorniciature classicheggianti che gli artisti avrebbero dovuto dipingere per separare le varie storie sono minuziosamente dettagliate.
Ogni aspetto del mondo visibile doveva essere trattato nelle scene: figuras, hedifitia, castra [castelli], civitates, montes, colles, planities, lapides, vestes, animalia, aves [uccelli], bestias e tutti gli stemmidella famiglia Tornabuoni che il committente desiderava vedere sulle pareti della sua cappella.
Nel contratto è ovviamente specificato anche il compenso di 1100 fiorini d’oro, corrispondente a circa 4 chili d’oro a 24 k (200.000 euro secondo il valore corrente dell’oro) per un lavoro da completarsi in meno di 5 anni.
Fra gli assistenti e gli apprendisti di Domenico Ghirlandaio, coinvolti nell’impresa, si ricordino i fratelli minori del pittore, Davide e Benedetto, il cognato Sebastiano Mainardi e soprattutto un quattordicenne molto promettente di nome Michelangelo Buonarroti.
Il contratto esplicita perfino la motivazione del committente alla base del progetto, concepito come atto di pietà e amore verso Dio, a onore e lode dell’Onnipotente, di sua madre sempre gloriosa la Vergine Maria ma anche ad esaltazione della sua famiglia e del suo nome.
Leggendo questo scritto appare abbastanza evidente come il banchiere del papa non tema più di tanto per la sua anima, al contrario dei banchieri delle generazioni passate che offrivano tali cappelle soprattutto come espiazione dei propri peccati, in special modo del peccato di usura. Qui, Giovanni Tornabuoni non celebra solo Iddio ma anche se stesso, i suoi familiari, quelli ancora vivi e quelli già morti, i suoi amici, l’élite finanziaria ed economica della Firenze di Lorenzo il Magnifico.
Quale miglior interprete di Domenico Ghirlandaio e la sua organizzatissima bottega artistica? Il pittore che “umanizza i santi e santifica gli uomini” (F. Razeto), che trasforma le storie bibliche in ritratti di gruppo, in istantanee del suo tempo quando i ricchi vivevano nella grazia di Dio.
Vi invito a scoprire con me questi straordinari affreschi di un’epoca irripetibile per Firenze quando l’amore di Dio, il denaro degli uomini e il talento degli artisti concorsero a creare una grandissima bellezza.