La Selva Turrita e i suoi alberi
Alcune le vedi da lontano, interrompono l’orizzonte.
Di altre si scorge soltanto la cima, abbracciata da tetti più bassi.
Altre invece ti sorprendono svoltando in un vicolo del centro.
Le torri di Bologna, le sopravvissute. Ti guardano fiere, dall’alto in basso. Sotto di loro la città si è trasformata e le generazioni si sono succedute. Tutto passava e loro restavano, anno dopo anno, secolo dopo secolo.
Conosciute con i nomi delle famiglie che le hanno volute: Alberici, Scappi, Toschi o con i loro nomignoli: Altabella, Coronata.
Costruite tra il XII e il XIII secolo, un’epoca violenta. Per avvistare, difendersi e colpire ma anche come tangibilissimi simboli di ricchezza e di potere.
Della Selva Turrita medievale oggi restano una ventina di torri ma quante ce n’erano davvero?
A fine Ottocento, quando ormai moltissime torri non esistevano più, lo storico Giovanni Gozzadini pubblicò una sorta di censimento, elencandone quasi duecento e chiedendo al Comune di preservare almeno le principali “dalle ingiurie del tempo e soprattutto dalla abbietta avidità degli uomini”.
Anche se il numero indicato dal Gozzadini è probabilmente errato per eccesso, il suo Delle torri gentilizie di Bologna e delle famiglie alle quali prima appartennero è ancora oggi un testo imprescindibile per chi voglia studiare le torri di Bologna.
Diamo i numeri sulle Torri di Bologna
Lo dicono anche i numeri che le torri erano simbolo di ricchezza e di potere. Pensate che per costruire una torre alta circa 60 metri ci volevano 500.000 giornate di operaio, 650.000 mattoni, 2.000 tonnellate di legno e dai 3 ai 10 anni di tempo[1].
Le Torri di Bologna e l’arte
Così inscindibili dalla città, le torri sono state raffigurate in molte opere d’arte nel corso del tempo: nella Madonna del Terremoto di Francesco Francia in Palazzo Comunale, nella Pala della Peste di Guido Reni ora in Pinacoteca e nelle tante immagini dipinte o scolpite del patrono di Bologna, San Petronio, come la statua sulla Porta Magna della grande chiesa che porta il suo nome realizzata da Jacopo della Quercia.
Le torri di Bologna tra storia e leggenda
Queste presenze così imponenti hanno ispirato anche scrittori e poeti e fatto nascere leggende che ancora si tramandano.
Dante Alighieri per ben due volte scrisse della torre Garisenda: in un sonetto giovanile e nel canto XXXI dell’Inferno.
Il Boccaccio nel Decameron ci racconta le vicende di un tal Egano, membro della potente e rissosa famiglia Galluzzi la cui torre fu l’ultima vera torre gentilizia[2] costruita a Bologna.
L’Asinelli, la più alta, di leggende ne ha fatte nascere tante.
Ma è stata anche teatro dell’esperimento dei gravi per la misurazione della rotazione terrestre effettuato dal fisico Guglielmini a fine Settecento e punto di avvistamento e segnalazione dei bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.
Non cercate scuse!
Si tramanda poi che i giovani bolognesi non debbano salire sull’Asinelli o non conseguiranno mai la laurea. Una scusa per non affrontare i 498 gradini?
Io, invece, invito tutti a farlo perché la vista da lassù vi ripagherà.
Ma se la salita proprio non fa per voi, potete optare per un volo virtuale tra torre e torre.
Specchio delle mie brame…
Come per i portici ognuno ha la sua torre preferita.
Sapete qual è la mia? Non l’imponente Asinelli, né la superba Coronata. A me piace l’appartata Torre Conoscenti, risalente forse addirittura alla fine dell’XI secolo.
E quale sarà la vostra torre preferita? Andiamo a scoprirla insieme?
[1] Le torri di Bologna, Andrea Malossini, EMIL, 2017
[2] Appartenente a famiglia nobile (Fonte: https://www.treccani.it/vocabolario/gentilizio/)
Risorse esterne:
https://www.duetorribologna.com/it/scopri/
https://www.lamacchinadeltempo.eu/towerpower/