Quando si parla di Siena il collegamento più immediato che la nostra mente possa compiere è sicuramente quello con il Palio, ma in verità c’è molto di più.
Sempre così focalizzati sulla corsa di cavalli che alle volte ci si dimentica dei personaggi che hanno comunque contribuito a rendere nota in tutto il mondo questa cittadina medievale, un nome fra tanti: Santa Caterina.
Nata a Siena il 25 marzo 1347, giorno in cui si celebra la festa dell’Annunciazione e in quell’anno anche la Domenica delle Palme. A soli sei anni si convertì e a sette fece voto di verginità. A dodici anni combatté contro le reticenze dei genitori e nel 1363 vestì l’abito delle «mantellate» (dal mantello nero sull’abito bianco dei Domenicani); una scelta anomala in quanto riservato alle donne mature o vedove, ma che le permise di iniziare un’intensa attività caritatevole a vantaggio dei poveri, degli ammalati, dei carcerati.
I temi sui quali Caterina pone attenzione sono: la pacificazione dell’Italia, la necessità della crociata, il ritorno della sede pontificia a Roma e la riforma della Chiesa.
Morì a Roma il 29 aprile 1380, all’età di 33 anni, un’altra strana coincidenza che rimanda al suo strettissimo legamene con Cristo. La santa trovò per tanto riposo nella città Eterna, ma per i senesi fu importantissimo averla vicina, così fu rubata la sua testa che oggi è custodita all’interno della cappella Benzi nella Basilica di San Domenico.
La cappella ha un percorso iconografico davvero interessante grazie al pittore manierista Giovanni Antonio Bazzi, detto Il Sodoma, che decise di commemorarla con gli avvenimenti più interessanti della sua vita come i momenti di estasi e svenimenti, citati nella Legenda Maior scritta dal Confessore Raimondo da Capua, la fonte più autorevole: «accadeva molto spesso che, ricevendo il santissimo sacramento, percepisse un odore così intenso e soave che quasi sveniva». Ai lati invece sono raffigurate le vicende del condannato a morte di Nicolo di Tuldo, la cui anima salì in cielo grazie all’aiuto della Santa, e Caterina che libera un’ossessa dal demonio, ma dipinta da Francesco Vanni.
L’elemento decorativo più curioso è però nella pavimentazione, ovvero nella bellissima tarsia marmorea, raffigurante un uomo nudo in un bosco con uno specchio in mano, circondato da animali feroci e “strani” simboli. La chiave di lettura risente sicuramente della cultura alchemica ed esoterica tanto di moda nel XVI secolo, per condurci verso la strada della purificazione e salvezza come sostiene il professore Gioachino Chiarini:
«L’anima dell’uomo essenziale deve riconoscersi come compito terreno quello di seguire Cristo, secondo e più vero Adamo, nella pur difficile ascesa verso Dio e il conseguimento del premio definitivo che le è riservato nella vita dopo la morte.»