Chissà quanti dei milioni di visitatori della Galleria dell’Accademia di Firenze, una volta entrati nel museo, dopo aver percorso la galleria con i Prigioni di Michelangelo con gli occhi fissi sul David e dopo aver portato la propria offerta di emozioni alla statua-icona del Rinascimento, al termine della luminosissima galleria-navata che ricorda nelle forme una chiesa laica dove si celebra la bellezza al suo grado più elevato, ebbene dicevamo, chissà quanti di questi visitatori poi tornano sui loro passi, a ritroso, fino alla stanza prossima alla biglietteria, dove, non lontano dall’ardito Ratto delle Sabine del Giambologna, c’è un ingresso un po’ anonimo con un’insegna che recita “Museo degli Strumenti Musicali”.
Quei fortunati che varcano tale ingresso si ritrovano in uno stretto corridoio, ben diverso dall’ampia e solenne galleria appena percorsa, in fondo al quale v’è un ambiente composto da tre piccolissime stanze che, alla maniera di uno scrigno prezioso, conservano gioielli rari dell’arte liutaria e più in generale dell’arte di fabbricare strumenti musicali.
Ad accoglierli, c’è un dipinto di Anton Domenico Gabbiani della fine del Seicento che mostra il granprincipe Ferdinando de’ Medici – il terzo da destra verso sinistra – che suona insieme ai virtuosi di corte.
Il Granprincipe, fratello maggiore dell’ultimo granduca dei Medici, fu un grandissimo collezionista, mecenate e devoto a Euterpe, la musa della musica. Al suo tempo a Palazzo Pitti si poteva sentir suonare Georg Friedrich Haendel, Alessandro e Domenico Scarlatti, Antonio e Francesco Veracini e… ben cinque Stradivari: il favoloso Quintetto Mediceo.
Due violini, due viole e un violoncello che il nobile lombardo Bartolomeo Ariberti commissionò nel 1684 all’insuperato liutaio cremonese, probabilmente per farne poi dono al Granprincipe. Il quintetto d’archi che vediamo nella tela è forse quello di cui si parla o forse un altro simile in quanto il dipinto è stato probabilmente eseguito prima dell’arrivo dei cinque strumenti a Firenze.
Accanto al quadro possiamo ammirare un violoncello ed una viola tenore che erano parte dello straordinario quintetto mediceo.
In particolare, “la viola medicea costituisce l’unico strumento di Antonio Stradivari che abbia conservato in ogni sua parte la struttura e l’aspetto originali, compreso il ponticello, parte mobile per eccellenza in quanto solo appoggiato alla tavola armonica, decorato ad inchiostro dallo stesso Stradivari” (Gabriele Rossi Rognoni).
Uno strumento unico anche per la straordinaria ricercatezza nella decorazione con inserti di madreperla, d’argento e il ponticello dipinto ad inchiostro appunto.
La stanza seguente è dedicata invece alla nascita del pianoforte ad opera del cembalaro padovano Bartolomeo Cristofori che il granprincipe Ferdinando convinse a trasferirsi a Firenze intorno al 1688.
Nella città del Giglio, il Cristofori realizzò uno strumento a tastiera, in tutto simile ad un clavicembalo, nel quale le penne che pizzicavano le corde – questa era la meccanica alla base dell’acustica della spinetta o del clavicembalo – erano sostituite da martelletti. Le corde producevano così un suono con un’intensità che variava a seconda della forza con la quale venivano percosse dai martelletti azionati dai tasti dello strumento: piano e forte.
Era la nascita del pianoforte, anzi del fortepiano come venne chiamato inizialmente.